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Crowdfunding, semplicemente 'produzioni dal basso'. Intervista a Angelo Rindone


Produzioni dal Basso si racconta a Crowdfunding Cloud

Angelo Rindonefondatore di Produzioni dal Basso e - sotto certi aspetti - inventore del crowdfundingci ha rilasciato un'intervista esclusiva, in cui ha descritto la sua piattaforma ed i progetti futuri.
La nostra chiacchierata sul finanziamento collettivo dal basso nelle modalità rewarddonationequity e social lending, si è - in particolar modo - incentrata sulla nascita del portale, su un confronto con gli Stati Uniti e su di un approfondimento sui network aziendali attivati da Produzioni dal Basso. Ma non solo, siamo anche riusciti a cogliere qualche utile consiglio per progettisti, backer e consulenti.
Angelo ci ha altresì rilasciato la sua opinione sull'attuale regolamentazione italiana del donation, del reward, dell'equity e del lending crowdfunding.
Infine, ci ha dato la sua definizione del crowdfunding, descrivendolo in tre semplici parole.

Come è nato il crowdfunding, ovvero come e perché hai lanciato Produzioni dal Basso in Italia?
«Produzioni dal Basso è stata inaugurata nel gennaio del 2005», prima delle piattaforme americane che sono del 2008 - tre anni dopo. Però l'idea è nata nel 2004, anche se «fino al 2013-2014 è rimasto un progetto amatoriale, senza un modello di business e autogestito».
È stata una realtà antesignana rispetto all'esistenza del mercato e quando anche in Italia, intorno al 2011-2012, è arrivato il tema del crowdfunding - spinto dai portali americani che hanno inventato il termine, le tipologie e tutte il resto - allora ci si è accorti che c'era una piattaforma in Italia che da tempo faceva già tutte queste cose.
«Non posso dire che abbiamo creato il crowdfunding, posso - però - dire che abbiamo sentito, nel 2004, che c'era qualcosa che stava succedendo grazie alle nuove tecnologie digitali». Allora non c'erano gli smartphone, non c'era YouTube e i social network erano in fase di lancio. Tuttavia, «si incominciava a capire che Internet poteva disintermediare».
Tutto questo si respirava già nel 2004 e, lavorando nel mondo dell'autoproduzione culturale della musica e dei libri, «ho capito che c'era questa esigenza di disintermediare dei passaggi - come la casa editrice e la casa discografica - e andare direttamente con il proprio prodotto, uplodare la propria idea online e raccogliere dei soldiQuesto era il concetto su cui è nato Produzioni dal Basso».
«Ai tempi - quando ne parlavi in giro - ti guardavano come un matto, perché dicevano che nessuno avrebbe mai dato dei soldi a qualcuno su Internet per realizzare un progetto». A parlarne oggi fa ridere, ma «ai tempi, invece, era una cosa proprio così».

Quali sono le principali differenze tra il crowdfunding in Italia e negli Stati Uniti?
Su Kickstarter e Indiegogo il livello di ingresso è molto elevato. Ci si presenta già con un proprio Ufficio Stampa, un video professionale, un'apposita preparazione, una pipeline ed anche un campaign manager. Tendenzialmente una campagna su Kickstarter ti costa all'ingresso dai 15 fino a 30 mila Euro.
Al contrario sulle piattaforme italiane si entra «a costo zero ed è rarissimo vedere in Italia un progetto di crowdfunding che ha alle spalle tutto quel lavorio che c'è dietro ad una campagna in stile Kickstarter».
Se il livello di investimento di ingesso è zero è evidente che non si possono ottenere gli stessi risultati degli Stati Uniti. «Alla fine il crowdfunding è all'interno delle leggi del mercato»: se si investe, si ottiene; se non si investe, si ottiene zero o comunque molto meno.
Quando una campagna italiana prende € 10.000,00 è un ottimo risultato considerando che (come si diceva) l'investimento per ottenerlo - in generale - è stato zero. Questo aspetto, però, «sta cambiando perché sempre più spesso stanno arrivando campagne più strutturate rispetto al passato; ma sono comunque una percentuale minima». Su Kickstarer il 90% (se non forse il 100%) delle campagne è strutturata, in Italia la percentuale è tra l'1 ed il 3%.
«Non è una critica. Il fatto che si abbattano le barriere e le persone con un minimo di investimento possano fare una raccolta, per me è democratizzante». Le aspettative però devono rimanere quelle che sono: «a fronte di un investimento molto basso, non si può pretendere di avere una raccolta molto alta».
Detto questo, va - però - messo in luce che i portali americani sono anche più belli di quelli italiani, sono fatti meglio, sono più strutturati, hanno più soldi, hanno più finanziamenti e più investitori - tra i quali gli stessi fondi d'investimento.

Come funzionano i network aziendali all'interno di Produzioni dal Basso?
Innanzitutto va detto che «le piattaforme di crowdfunding sono diventate dei luoghi in cui avvengono interazioni positive». Ci sono delle persone che hanno delle idee: le espongono e le raccontano con lo storytelling. Sostanzialmente, «c'è la narrativa all'interno delle piattaforme di crowdfunding». Poi ci sono le persone che sostengono, che partecipano e che contribuiscono alla realizzazione dei progetti.
«E' un flusso positivo», un elemento non banale visto che, «ultimamente, i social network stanno generando flussi tutt'altro che positivi».
A oggi, «quello che stiamo registrando è che sempre più spesso le aziende identificano le piattaforme come luoghi dove fare delle iniziative». Quindi, «si avvicinano al mondo del crowdfunding attraverso iniziative di CSR (Corporate Social Responsabilityo di open innovation - alla ricerca di prodotti e idee nuove per un mercato che viene presidiato dall'azienda».
«Credo che questo sia una cosa interessante». In primo luogo poiché «porta valore alla comunità», visto che - molto spesso - queste società cofinanziano i progetti. In secondo luogo perché tutto ciò «porta il crowdfunding ad avere un impatto sociale», ossia ad essere uno strumento in grado di stimolare le aziende a realizzare progetti a beneficio del territorio e delle comunità. Ed «è un fenomeno molto italiano».
Tuttavia, l'errore che spesso fanno le piattaforme è quello di orientarsi troppo verso le aziende, dimenticando che queste cercano la community. «Il nostro compito come piattaforma è quello di lavorare sempre sulla comunità, dando valore alle persone» che ci scelgono, donano e propongono progetti. Perché è proprio questa community che popola la piattaforma, che fa avvicinare le aziende.
«Le aziende devono essere la conseguenza di un lavoro che viene fatto all'interno della piattaforma e non viceversa. Se no, non funziona!».

Quale consiglio daresti a chi vuole lanciare una campagna su Produzioni dal Basso?
«Il primo consiglio che diamo ai progettisti è che - di fatto - quando si propone un progetto di crowdfunding si porta non solo un'idea, ma anche la propria storia». Su Internet la propria identità è tridimensionale e il contesto è quello delle economie reputazionali.
Un altro consiglio che cerchiamo di dare su Produzioni dal Basso, che è valido anche a livello generale, è quello di «partire dal presupposto che il denaro è una conseguenza. Non deve essere il motivo primario per cui si fa una campagna» di crowdfunding. È chiaro che si lancia un progetto perché si devono raccogliere dei soldi, ma il denaro arriva «se alle spalle ci sono una serie di elementi che si inanellano: dalla tua reputazione, dal modo con cui racconti la storia, dalla qualità dell'idea, da come tu fai partecipare anche gli altri a quell'idea, dalla qualità dei reward, dal modo in cui tu comunichi sui social, dal modo in cui tu coinvolgi la tua prima cerchia di relazioni [modello delle 3F, ndr], ecc. ecc.». Questo lavoro qui è quello che, poi, porta anche ai soldi.
Chiara Spinelli, che è stata la 'madrina' in Italia sui temi del crowdfunding diceva sempre: 'prima del funding c'è il crowd'». «Questo è verissimo ed è molto importante: prima ancora di pensare al denaro, pensa a come puoi coinvolgere le persone nel tuo progetto. Il denaro è la conseguenza».

Quale suggerimento, invece, daresti ai sostenitori dei progetti - i backer?
«Non esiste il backer che deve scegliere i progetti sulla piattaforma. Tendenzialmente uno si avvicina ad un progetto perché ne sente parlare, perché è dell'amico, perché è di un tema che interessa. Quindi i sostenitori dei progetti sanno benissimo quando e come intervenire economicamente e non solo all'interno del progetto». In fondo, «nessuno sostiene a caso».
«Consigli non mi sento di darne, se non vedere se ci sono commenti, verificare l'identità e la storia di chi propone il progetto. Perché se arriva un regista che vuole fare un film e non sa tenere in mano la telecamera…».

Cosa ne pensi dei consulenti per il crowdfunding?
«Fino ad oggi quelli che ho conosciuto io sono tutte persone serie, che lavorano bene e che aiutano per davvero le campagne a fare dei bei percorsi».
E' importante tenere a mente che «il consulente è una persona che da gli strumenti», ma il percorso lo deve fare il progettista. Questo perché il progetto è del progettista e lui soltanto può comunicarlo a dovere e solo lui ha «quella forza, quell'autorevolezza e quell'autenticità per comunicare il progetto». Inoltre la comunità del progetto è in capo al progettista.
Il progettista fa la corsa, ma il consulente detta i tempi e indica il percorso. «Credo che il lavoro dei consulenti possa essere importante da questo punto di vista». Però alla fine studiando un po', organizzandosi bene e avendo un buon team ce la si può fare anche in autonomia. Sostanzialmente, «bisogna valutare di volta in volta se servono o non servono».

Quale è la tua opinione sulla regolamentazione del donation e del reward crowdfunding in Italia?
In Italia per le modalità di crowdfunding donation e reward, «di fatto non c'è una regolamentazione e, ad oggi, non c'è nemmeno una regolamentazione di tipo europeo». Ci si appoggia, quindi, sull'esistente: sulla fiscalità esistente, sulle regole esistenti e così via.
Attraverso i portali «avvengono delle donazioni, che possono essere di tipo liberale o modale» - nel caso in cui ci sia una ricompensa. «In alcuni casi la ricompensa è configurabile come prevendita di bene futuro e quindi si applicano tutte le leggi, la fiscalità e le regole dell'e-commerce». «Tendenzialmente dovrebbe poi seguire anche uno scontrino fiscale o una fatturazione, che però è sempre in capo al progettista». Infatti, è il progettista che, in base alla sua figura giuridica, deve emettere una fattura oppure una ricevuta di donazione, dovendo altresì adempiere all'impegno dell'invio del reward.

Cosa ne pensi della regolamentazione del crowdfunding equity-based?
«L'equity crowdfunding è iper-normato», ma «secondo me le nuove modifiche fatte da Consob hanno sicuramente migliorato» la situazione, semplificando gli adempimenti - soprattutto per quanto concerne la direttiva MiFID II.
A oggi, «si sta cercando di limitare un po' il massimale degli importi, comunque all'interno di un range di importi che sono raramente superati».
«Rispetto alla prima bozza e alla prima normativa Consob abbiamo fatto dei passi avanti, anche grazie ai vari gruppi di interesse, che sono nati in Italia, ed anche grazie alla capacità di ascolto di Consob su questo tema».
«Io - devo dire la verità - già dalla prima bozza avevo espresso dei forti dubbi», ad esempio sul «fatto che fosse limitata solo alle start-up innovative [limite poi rimosso nel 2015 e ulteriormente nel 2017, ndr]».
Ora si aspettano le exit e, dunque, i veri ritorni per gli investitori - elemento di cui si è parlato durante la presentazione del terzo report sul crowdinvesting del Politecnico di Milano.

Quale è la tua opinione sulla normativa del social lending?
«Per quanto riguarda il lendingnon c'è una normativa ad hoc. Invece io credo che potrebbe essere molto utile e credo aiuterebbe molto il mercato. Perché, per quanto - poi - le normative tendano sempre ad appesantire, danno però delle certezze agli operatori del mercato», creando «un solco normativo» all'interno del quale si può operare senza il rischio di vedersi chiudere la propria attività da un giorno all'altro.
«Nel caso del lending questo non c'è e, quindi, ci si appoggia a tutta una serie di normative legate al mondo bancario. Bisogna avere l'approvazione da parte di Banca d'Italia se si vuole operare, oppure fare l'agente di pagamento per un istituto di pagamento autorizzato in Europa (e anche da Banca d'Italia)».
Gli operatori stanno attualmente crescendo e «noi [come FolkFunding, ndr] stiamo sviluppando delle piattaforme in ambito lending. Però l'imprenditore che investe in queste piattaforme vive con una spada di Damocle, perché da un giorno all'altro chiunque può arrivare, alzare la paletta e spegnergli la piattaforma».
«Diciamo che la normativa serve un po' a quello. Cioè serve a creare un solco nel quale - quanto meno - so che sto operando secondo legge e nessuno può chiudermi a meno che io faccia degli illeciti».
«Abbiamo avuto un caso recente in Italia: Housers, che è arrivato dalla Spagna, facendo lending sul mercato immobiliare e dopo qualche mese si è visto bloccato l'operatività. Poi ha ripreso, ha chiarito e ha sistemato» e ora opera tranquillamente nel nostro Paese.
Concludendo, «sarei favorevole a delle normative, anche nel mondo del lending, che permettano di far crescere il mercato e non che lo affossino».

Quali sono i progetti futuri di Produzioni dal Basso?
«Abbiamo lanciato dall'inizio di quest'anno un lavoro sulla gestione dei dati e degli algoritmi della piattaforma» un nuovo modo esterno di immagazzinarli e un modo nuovo di restituirli alla comunità.
La scorsa primavera abbiamo, quindi, dato «a tutti i progettisti lo strumento delle statistiche, che sta generando delle ottime situazioni», anche perché restituisce numerose informazioni come il tasso di conversione, i sistemi di pagamento, le visite, i commenti e così via - ma paragona il tutto con le medie attuali della piattaforma. Si ha, così, uno specchio su cui poter paragonare ciò che si fa.
In futuro, «questo ci permetterà di fare una serie di azioni push», sia preventive sia durante una campagna (ma anche post), in modo da essere una sorta di campaign manager virtuale per poter aiutare il progettista a fare meglio.
Nel momento in cui il progettista proporrà la campagna, saremo in grado di dirgli quali sono le azioni migliori che può fare e quali sono i risultati che deve cercare di ottenereE quando la campagna sarà attiva, saremo in grado di dirgli se sta andando bene o male e perché e quali sono le azioni che può fare per migliorare o conservare la prestazione.
«Crediamo che questo porti vantaggio alla nostra comunità e, quindi, visto che le economie crowd sono win-winse vince la comunità, vince anche la piattaforma».
Inoltre, questi dati in forma aggregata vengono anche rilasciati alle società dei nostri network che, oltre ad operazioni di marketing e di visibilità, hanno la necessità di avere delle metriche concrete da mostrare - internamente - per far vedere quanto hanno coinvolto le comunità e in che modo possono migliorarsi. Non a caso, alcuni dei nostri dati «possono essere utilizzati per la misurazione dell'impatto sociale».
Difatti, «questi dati servono per i progettisti, servono per le aziende; ma possono servire anche per la ricerca di settore». In tal senso, con Ivana Pais, dell'Università Cattolica di Milano, «stiamo pensando di mettere in piedi un gruppo di lavoro per cominciare a studiare i primi dati aggregati che abbiamo estratto da Produzioni dal Basso».
In fondo, più questi dati vengono utilizzati e studiati, più si ha in mano un asset importante e utile.

Infine, potresti dirci quale è la tua definizione di 'crowdfunding'?
«Fino a qualche anno fa avrei detto che è la disintermediazione finanziaria». Poi sono passato a dire che è «il modo che Internet si è dato per sostenere progetti a vario livello».
Forse, «la definizione di Wikipedia è quella che più regge nel tempo» e «riesce a recuperare quasi tutte le accezioni del crowdfunding: 'il crowdfunding o finanziamento collettivo in italiano è un processo collaborativo di un gruppo di persone che utilizza il proprio denaro in comune per sostenere gli sforzi di persone e organizzazioni. È una pratica di microfinanziamento dal basso che mobilita persone e risorse'».
Magari non regge troppo per il lending, che - però - è sempre stato un modello a se stante, con piattaforme peer-to-peer senza una dimensione prettamente progettuale, ma piuttosto con una funzione tecnologica per il matching tra domanda e offerta di prestiti. «Quando manca la dimensione progettuale, il crowdfunding viene un po' meno». Il lending è una costola del crowdfunding, ma è ha una sua identità molto diversa. Tuttavia, ultimamente, con il lending su energia e sull'immobiliare si sta reintroducendo la componente progettuale anche questa branchia.
Al contrario l'equity ha davvero una dimensione progettuale, così come donation e reward.
Sintetizzando, diciamo che la vera definizione del crowdfunding per me è «produrre dal basso», ossia «fare dal basso».



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